23.1.05

Caro Ferrara, io che sono un insegnante

17.11.2004

di Brizigrafo

Chissà che a Ferrara (il giornalista) non arrivi questa mia voce dal Barbiere

Molto partecipato lo sciopero della scuola. Fosse stato anche un terzo d’insegnanti ad aderire invece del 70% dichiarato dai sindacati sarebbe stato un successo. Quanti scioperi solitari nella mia lunga carriera!

Il malcontento per la riforma Moratti è evidente al di là delle cifre. Non ho trovato ancora un insegnante che ne rivendicasse apertamente la validità.

Le statistiche sono ballerine e spesso mentono. È un fatto però che nelle scuole quest’anno i soldi per l’autonomia sono quasi dimezzati. Si è sempre trattato di somme esigue, ma in una scuola con un centinaio di docenti e un migliaio di ragazzi passare da un fondo d’istituto di 15000 euro a 8000 si sente.

La finanziaria minaccia altri tagli oltre a quelli già decisi. Esponenti della maggioranza s’indignano dicendo che non è vero niente. Troppo impegnati a “governare” non sanno neppure cosa vanno ad approvare.

Nel marasma del centro-destra l’ultima “testa pensante” giornalistica (dopo la caduta di Mentana al TG5) dovrebbe essere lei direttor Ferrara.

Spesso la considero uomo violento e aggressivo con le armi di cui dispone, tuttavia talvolta mi accade fin anche di condividere il suo pensiero.

Della scuola e degli insegnati però non gliene potrebbe fregar di meno. In un editoriale del suo giornale usa strumentalmente il loro sciopero per scagliarsi contro i dipendenti statali e le loro richieste, a suo dire, eccessive, contro l’inutilità di scioperare per tagli di spesa, sempre a suo dire, inesistenti, contro i sindacati impegnati a dar vita ad una “opposizione sociale” di tipo politico. Tira anche le orecchie ai suoi, tanto infervorati nelle lacerazioni interne da prestare poca attenzione al fronte sociale.

Non sono certo io un difensore accanito degli insegnanti anche se ho dato al sindacato “gli anni migliori della mia vita” senza averne niente in cambio. Questa categoria è spesso colpa del suo male. Comunque parlare per categorie lascia il tempo che trova.

Ci sono ragioni per le quali i docenti sono quel che sono e richiederebbe molto tempo e spazio per analizzarle. Inoltre ogni individuo è un’entità al centro di una raggiera di rapporti sociali che ne fa una persona con pregi e difetti tutti suoi. Gli insegnanti non sfuggono la regola. Questa volta dunque voglio farne un caso personale.

Non m’interessa la professoressa con il marito in carriera che usa lo stipendio come argent de poche e certamente non sciopera. È una figura retorica sempre meno attuale anche se non del tutto estinta.

Voglio parlare di me. Lo sa sig. Ferrara quanto guadagno dopo oltre trent’anni di onorato servizio? Meno di 1500 euro al mese.

Quanto prende lei? Dieci, cento, mille volte di più?

Lungi da me l’idea di pretendere altrettanto. Il comunismo, come ideologia, è sepolto anche se non è detto che prima o poi non venga riesumato in qualche forma. Stendiamo poi un pietoso velo su quelle che sono state le sue realizzazioni storiche.

Ma, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, tutto induce a pensare che il valore personale dipenda dal reddito. Non a caso sul sito del Corriere.it è rimasto per lungo tempo un apposito misurometro.

Dunque con la mia retribuzione sono ad un livello infimo e mi chiedo: ho realmente una preparazione culturale, abilità di scrittura, capacità critiche cento o mille volte inferiori di quelle di un Ferrara?

Dispostissimo ad ammettere che altre sono le doti che permettono a qualcuno di emergere sugli altri – ed io quelle doti non le ho – eppure è equo che il mio valore commerciale sia così basso?

Perché non posso permettermi non dico una casa a Manhattan, ma neppure a Cinisello e devo stare anche attento ai libri che compro altrimenti rischio di non arrivare a fine mese? Ecco ciò che spinge a scioperare pur di malavoglia – visto che ti ritrovi con cento e passa mila lire in meno che è più di quanto guadagni davvero in un giorno.

Già si sente il coro: fin troppo per quel che fanno gli insegnanti. Tre mesi di ferie più Natale e Pasqua, quattro ore di lavoro al giorno.

Spiegare quanto le cose siano cambiate negli ultimi anni servirebbe poco. Resta il marchio. Qualcuno sostiene: se non sai fare altro, insegni. Altri dicono: prendono poco per un antico patto con lo Stato. Posto sicuro, scarse responsabilità, nessuna pretesa d’impegno e, in cambio, bassi salari. Un destino condiviso con gli altri statali. Ma sono ancora validi questi cliché?

Ci sarebbe molto da discutere. È evidente però che in genere nella scuola i carichi di lavoro sono aumentati e il valore d’acquisto dello stipendio si è ridotto. Non parliamo neppure del prestigio sociale ché comunque raramente è disgiunto da quello economico.

Eppure, lei Ferrara non ci crederà, ma personalmente non mi sento neppure troppo bistrattato. Ho avuto più tempo per leggere, e pensare che facendo altre attività. Ho potuto anche “riciclarmi” occupandomi di ciò che più m’interessava fosse la letteratura, la comunicazione audiovisiva o l’informatica.

Ho accumulato conoscenze, spesso inutili perché non richieste, ma che soddisfano la curiosità e permettono di “capire” molto più di quanto accada ad altri lavoratori della mente. Mi è servito per trasmettere qualcosa a chi è in contatto con me: figli, studenti, colleghi. Poca cosa, perché poco è il mio sapere.

Ora ho un cruccio caro Ferrara. Vorrei sapere da lei, se potesse rispondermi, che fine faranno tutti quei diplomati e anche laureati che, mancanti di influenti famiglie alle spalle, vengono spremuti in lavori sottopagati, privi di diritti e garanzie, senza futuro. Avrebbero dovuto essere un motore supplementare per l’economia e diventeranno solo disoccupati quarantenni.

Dimenticavo gli altri, quelli ai quali la scuola – e questa è una grossa colpa – non ha neanche saputo fornire un’istruzione di base decente. Ecco in questa prospettiva l’invidia tace e m’importa meno se dovrò tirare ancora la carretta qualche anno con scarse gratificazioni economiche e qualche altro inutile sciopero.

Forse sono ancora tra i fortunati.
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