Via libera a Internet
"La Provincia Pavese" 27 settembre 2000
Anche la scuola apra le porte
Alcuni pedagogisti affermano che il linguaggio multimediale è una specie di "altra" lingua. Altra rispetto alla lingua "madre" che, a scuola, è costituita dal "libro" inteso come contenitore tradizionale dell'organizzazione totalizzante dei saperi (siano di carattere letterario, storico-scientifico o altro, poco importa).
Le ultime generazioni, quelle cresciute con televisione, cd musicali, videogiochi e computer, riconoscono invece come lingua madre i fasci di codici - parole, immagini, suoni - trasmessi nel cyberspazio, mentre il linguaggio univoco del libro è oggetto di faticoso apprendimento.
Si sarebbe cioè verificata una sorta di conversione di cui la scuola non è in grado di cogliere il significato più profondo. Mentre la cultura, intesa come terreno su cui si radica la coscienza collettiva, è ormai "cyber cultura", la scuola si arrocca nella difesa ad oltranza del libro come valore insostituibile, perdendo sempre più il contatto con la realtà.
Da qui la contraddizione libro-nuove tecnologie.
Che l'istituzione scolastica sia fondata sul potere quasi incontrastato del libro lo dimostra, se non altro, il peso folle degli zaini trasferiti avanti e indietro, casa-scuola, scuola-casa, dagli scolari.
Tuttavia i computer sono entrati nelle scuole accompagnati dal carisma dell'ufficialità, benché subito relegati nel "laboratorio d'informatica". Già questo la dice lunga sull'atteggiamento nei confronti delle "nuove tecnologie" perché, se è vero che informatizzare ogni classe costa ancora troppo, è altrettanto vero che raggruppare le macchine in un unico luogo significa considerare il linguaggio multimediale alla stregua di una qualsiasi altra materia, riconducendolo alla logica dei saperi "duri" da apprendere con fatica.
Non ci vogliono grandi conoscenze pedagogiche per comprendere che per imparare ad usare matite, penne, pennarelli e colori non servono troppe cognizioni teoriche sulla composizione chimica della grafite o di altri materiali, ma l'uso pratico degli strumenti. Qualcuno ancora ricorderà le quadernate di aste e puntini alle quali era costretto per imparare a scrivere. Si riteneva fosse propedeutico all'apprendimento anziché mortalmente noioso. Cerchiamo di non fare, con i computer, gli stessi errori. Mi oppongo all'idea tipicamente "libresca", e dunque "scolastica", che lo studio astratto della teoria e l'esercitazione pedante debbano precedere le più gioiose applicazioni pratiche.
Intendiamoci: per ragioni anagrafiche ed altro rimango legato alla galassia Gutemberg. Amo i libri.
Mi piacciono anche proprio per la loro consistenza fisica. Sono un lettore onnivoro e mi perdo facilmente nel piacere della lettura. Allora mi chiedo perché la scuola faccia di tutto per allontanare i ragazzi da questo piacere, imponendo letture assurde ad età assurde e, soprattutto, imponendo il leggere che è invece attività libera ed interattiva per eccellenza. Non trovo altra risposta se non che "il piacere", in quanto tale, sembra essere bandito dall'istruzione. Nonostante tonnellate di testi pedagogici sull'importanza del "piacere" nell'apprendimento, pare che gran parte dei professionisti dell'istruzione non abbiano ancora interiorizzato il concetto.
Sia chiaro: piacere e facilità non sono sinonimi. La scuola può e deve veicolare contenuti anche "difficili". Semplicemente abbia l'accortezza di farlo senza dimenticare che la forma con la quale li propone non deve necessariamente apparire ostica, "dura".
Il linguaggio dei media è vario ed accattivante. Basato su parole, immagini e suoni è, appunto, "lingua madre" delle ultime generazioni. Perché non sfruttarne la potenza tentando di sottrarlo, almeno per l'aspetto educazionale, al mortale monopolio dei gestori commerciali? L'indubbia curiosità per Internet dovrebbe essere stimolata da insegnanti competenti indirizzandola là dove le informazioni generiche diventano formative. In rete c'è moltissima spazzatura. Chi, se non la scuola, potrebbe fare scelte e guidare i ragazzini, ovviamente evitando con cura di annoiarli? Forse ci si renderebbe anche conto che l'opposizione libro-computer è più falsa di quanto sembri. In realtà l'era digitale, per il momento almeno, non uccide il libro. Anzi, non ci sono mai stati tanti titoli in libreria come negli ultimi anni. Infatti editare un libro è diventato facilissimo e costa sostanzialmente il costo della carta su cui è stampato. Il risultato è che anche in libreria, come sul WEB, è sempre più problematico rintracciare prodotti di qualità tra cumuli di spazzatura.
Esperti in tecnologie della comunicazione sostengono che dal libro è nata l'intelligenza privata, dalla TV e dalla radio una forma d'intelligenza collettiva e da Internet sta nascendo una forma d'intelligenza compresa tra le due. Se ciò è vero il ruolo della scuola, in quanto agenzia educativa, è favorire lo scambio dell'informazione di qualità dal libro alla parola orale e all'immagine e dall'immagine al libro. Un gioco a ritroso insomma del quale la scuola potrebbe farsi "piacevole" protagonista.
Anche la scuola apra le porte
Alcuni pedagogisti affermano che il linguaggio multimediale è una specie di "altra" lingua. Altra rispetto alla lingua "madre" che, a scuola, è costituita dal "libro" inteso come contenitore tradizionale dell'organizzazione totalizzante dei saperi (siano di carattere letterario, storico-scientifico o altro, poco importa).
Le ultime generazioni, quelle cresciute con televisione, cd musicali, videogiochi e computer, riconoscono invece come lingua madre i fasci di codici - parole, immagini, suoni - trasmessi nel cyberspazio, mentre il linguaggio univoco del libro è oggetto di faticoso apprendimento.
Si sarebbe cioè verificata una sorta di conversione di cui la scuola non è in grado di cogliere il significato più profondo. Mentre la cultura, intesa come terreno su cui si radica la coscienza collettiva, è ormai "cyber cultura", la scuola si arrocca nella difesa ad oltranza del libro come valore insostituibile, perdendo sempre più il contatto con la realtà.
Da qui la contraddizione libro-nuove tecnologie.
Che l'istituzione scolastica sia fondata sul potere quasi incontrastato del libro lo dimostra, se non altro, il peso folle degli zaini trasferiti avanti e indietro, casa-scuola, scuola-casa, dagli scolari.
Tuttavia i computer sono entrati nelle scuole accompagnati dal carisma dell'ufficialità, benché subito relegati nel "laboratorio d'informatica". Già questo la dice lunga sull'atteggiamento nei confronti delle "nuove tecnologie" perché, se è vero che informatizzare ogni classe costa ancora troppo, è altrettanto vero che raggruppare le macchine in un unico luogo significa considerare il linguaggio multimediale alla stregua di una qualsiasi altra materia, riconducendolo alla logica dei saperi "duri" da apprendere con fatica.
Non ci vogliono grandi conoscenze pedagogiche per comprendere che per imparare ad usare matite, penne, pennarelli e colori non servono troppe cognizioni teoriche sulla composizione chimica della grafite o di altri materiali, ma l'uso pratico degli strumenti. Qualcuno ancora ricorderà le quadernate di aste e puntini alle quali era costretto per imparare a scrivere. Si riteneva fosse propedeutico all'apprendimento anziché mortalmente noioso. Cerchiamo di non fare, con i computer, gli stessi errori. Mi oppongo all'idea tipicamente "libresca", e dunque "scolastica", che lo studio astratto della teoria e l'esercitazione pedante debbano precedere le più gioiose applicazioni pratiche.
Intendiamoci: per ragioni anagrafiche ed altro rimango legato alla galassia Gutemberg. Amo i libri.
Mi piacciono anche proprio per la loro consistenza fisica. Sono un lettore onnivoro e mi perdo facilmente nel piacere della lettura. Allora mi chiedo perché la scuola faccia di tutto per allontanare i ragazzi da questo piacere, imponendo letture assurde ad età assurde e, soprattutto, imponendo il leggere che è invece attività libera ed interattiva per eccellenza. Non trovo altra risposta se non che "il piacere", in quanto tale, sembra essere bandito dall'istruzione. Nonostante tonnellate di testi pedagogici sull'importanza del "piacere" nell'apprendimento, pare che gran parte dei professionisti dell'istruzione non abbiano ancora interiorizzato il concetto.
Sia chiaro: piacere e facilità non sono sinonimi. La scuola può e deve veicolare contenuti anche "difficili". Semplicemente abbia l'accortezza di farlo senza dimenticare che la forma con la quale li propone non deve necessariamente apparire ostica, "dura".
Il linguaggio dei media è vario ed accattivante. Basato su parole, immagini e suoni è, appunto, "lingua madre" delle ultime generazioni. Perché non sfruttarne la potenza tentando di sottrarlo, almeno per l'aspetto educazionale, al mortale monopolio dei gestori commerciali? L'indubbia curiosità per Internet dovrebbe essere stimolata da insegnanti competenti indirizzandola là dove le informazioni generiche diventano formative. In rete c'è moltissima spazzatura. Chi, se non la scuola, potrebbe fare scelte e guidare i ragazzini, ovviamente evitando con cura di annoiarli? Forse ci si renderebbe anche conto che l'opposizione libro-computer è più falsa di quanto sembri. In realtà l'era digitale, per il momento almeno, non uccide il libro. Anzi, non ci sono mai stati tanti titoli in libreria come negli ultimi anni. Infatti editare un libro è diventato facilissimo e costa sostanzialmente il costo della carta su cui è stampato. Il risultato è che anche in libreria, come sul WEB, è sempre più problematico rintracciare prodotti di qualità tra cumuli di spazzatura.
Esperti in tecnologie della comunicazione sostengono che dal libro è nata l'intelligenza privata, dalla TV e dalla radio una forma d'intelligenza collettiva e da Internet sta nascendo una forma d'intelligenza compresa tra le due. Se ciò è vero il ruolo della scuola, in quanto agenzia educativa, è favorire lo scambio dell'informazione di qualità dal libro alla parola orale e all'immagine e dall'immagine al libro. Un gioco a ritroso insomma del quale la scuola potrebbe farsi "piacevole" protagonista.
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