23.1.05

I nomadi? Bisogna convivere

"La Provincia Pavese" 22.11.2000

Pavia, il problema dei bambini a scuola e delle identità

"Sei un gagio". Il "gagio" è l'altro, il diverso, lo straniero. C'è inevitabilmente del dispregio nel termine. Questo sono io per gli "zingari". Ma guai a chiamarli "zingari"! A Pavia sono Sinti e "zingaro", con il disprezzo che ci mettiamo nel dirlo, è un insulto.
Osservo questo Rom istruito, vestito di nero come un prete, presidente dell'Opera Nomadi lombarda. E' un uomo pacato, scuro di carnagione, parlata senza doppie, tipica dei nostri "nomadi" che nomadi non lo sono quasi più perché, se si spostano, lo fanno in un'area ristretta di poche decine di chilometri. Sarà il "mediatore culturale" nel progetto che la scuola Cabral ha avviato, l'uomo-ponte tra due culture irrimediabilmente ostili.
Da decenni abbiamo alunni Sinti nelle nostre classi e le difficoltà sono molte. Ci aspettiamo aiuti concreti dal suo intervento.
Non sono sicuro di capire quale sia il suo obiettivo. Sappiamo entrambi che non è possibile nessuna vera integrazione tra Sinti - o Rom - e residenti italiani. Sono realtà inconciliabili, almeno per il momento. Eppure tra noi insegnanti, da una parte, e lui, con i Servizi sociali, dall'altra, si cerca un terreno d'incontro per rendere più facile la convivenza delle etnie presenti sul territorio, nel rispetto delle differenti identità. E' una questione di civiltà.
Cosa ci accomuna? Forse l'idea che la miglior conoscenza dell'altro porti ad una maggiore disponibilità e la convinzione che elevare il livello di scolarizzazione individuale sia di beneficio anche alla collettività. Non ci facciamo illusioni: i problemi sono tanti. I Sinti mandano a scuola i ragazzini malvolentieri. Lo fanno perché hanno uno loro "politica" di mediazione con le istituzioni, ma non ci credono più di tanto, né intendono mescolarsi con i "gagi".
I locali, quelli con una casa di mattoni e un tetto sopra alla testa, considerano gli "zingari" ladri, sporchi e cattivi e non vorrebbero che i loro figli frequentassero le stesse scuole. Così stanno le cose, se non vogliamo essere ipocriti.
Gli insegnanti, garanti dell'obbligo scolastico, esteso al primo anno delle superiori, faticosamente cercano di mediare le tensioni, specialmente nelle "scuole di frontiera" - vicino ai campi, cioè - dove la presenza dei "nomadi" è massiccia. Francamente, però, dispongono di scarsi strumenti adeguati e mancano di preparazione specifica.
La miope propaganda razzista delle destre e la politica dello struzzo del centro-sinistra - i problemi non ci sono fin quando qualche scocciatore non li tira fuori - hanno peggiorato la situazione. Ora è evidente che non si possono spazzar via due affollati campi (con problematiche diversissime tra loro) e poi spargere letame dove sorgevano, come intendeva fare - o ha fatto - l'illuminato sindaco leghista di un paesotto lombardo.
E' altrettanto evidente quanto sia rischioso affrontare seriamente la ricollocazione di una comunità tanto scomoda senza scatenare contraccolpi politici. Da tutte le parti è facile essere demagogici su questo argomento. Se non è già troppo tardi, bisogna cominciare a gettare ponti tra sponde che si stanno sempre più divaricando. Rivolgersi a "mediatori culturali" sembra una buona strada intrapresa dall'attuale Amministrazione comunale. Tuttavia, in termini quantitativi, l'impegno resta inadeguato.
Purtroppo la cronica carenza di fondi dichiarata dalle istituzioni - e una certa sordità per i reali bisogni della scuola - incide sulle scelte. Gli stessi motivi impediscono all'Ufficio scolastico provinciale (ex Provveditorato) di svolgere la sua parte aggiungendo docenti di sostegno là dove la concentrazione di molti bambini nomadi lo rende indispensabile.
Ormai le nostre classi accolgono arabi, cinesi, slavi, africani e Sinti. Viviamo una realtà che necessariamente ci induce a progettare in funzione della specificità di culture diverse dalla dominante. In un futuro molto prossimo la presenza di stranieri costringerà tutte le scuole a misurarsi con questo fatto. Senza "mediatori culturali", senza figure di riferimento che conoscano a fondo lingua, mentalità e costumi dei loro popoli, ben poco si potrà fare per educare tutti al reciproco rispetto.
Noi siamo "maestri" e il nostro scopo è "educare", non soltanto trasmettere sapere. Ma siamo anche i famosi "vasi di coccio" che rotolano in compagnia del vaso di ferro. Vaso di ferro è la rovinosa ottusità di chi non capisce l'improrogabilità di trovare soluzioni equilibrate ai problemi pagando quanto è necessario in termini di tempo, energie e soldi. Demonizzare gli altri per la loro irriducibile diversità, è facile e spesso strappa l'applauso convinto dei "nostri", ma esaspera le situazioni innescando un disastroso cortocircuito di odio e paura. Spendersi per comprendere i diversi costa fatica e rende pochissima riconoscenza. Ciò nonostante è l'unica via che resta, a parte gli esorcismi e la violenza xenofoba.
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