Mussolini non ha ucciso nessuno e c'è bisogno del capo
14.09.2003
di Brizigrafo
Una ne dico cento ne penso
Per la serie una ne dico cento ne penso, o meglio, ne sparo una al giorno, Berlusconi ha assolto il fascismo dichiarando “Mussolini non uccise nessuno” “il confino era una vacanza”. Naturalmente si sono alzate voci autorevoli sui “rischi” di un nuovo fascismo.
Io concordo con ogni denuncia e gran parte delle cose dette spesso anche dottamente. Però, terra a terra, al di là dell’ovvia indignazione per tutto quanto sta accadendo, ricordo quando ero ragazzino e da una parte si diceva “si stava meglio quando c’era Lui” (lui era “il merda” di gaddiana memoria, Mussolini) e dall’altra s’invocava “a da venì Baffone” (baffone era Stalin tanto amato dalle masse sovietiche e dai proletari di tutto il mondo). Battute da bar che la dicevano lunga sugli umori popolari in tempi d’opposte ideologie e di dominio democristiano.
Il Berlusca è uomo da bar in sintonia con buona parte dei suoi elettori come ogni capopopolo. Pensa come loro, parla come loro, condivide con loro una scarsa preparazione culturale, si sente unto dal cielo per il successo ottenuto e vaste categorie di italiani lo capiscono perché come lui si credono più furbi degli altri, disprezzano sinceramente gli intellettuali e le loro “menate”, frutto di un lungo tirocinio di formazione mentale, mancano di qualsiasi memoria storica e apprezzano immensamente chi è vincente.
Per loro quelle del “cavaliere” (mi si permetta una digressione: “cavaliere” come Mussolini nell’italietta del tempo così ben disegnata da Novello nel “Signore di buona famiglia” dove si sprecano “cavalieri” “commendatori” “grandi ufficiali” e “sue eccellenze” e sicuramente il “nostro”, al pari di “lui” non disdegnerebbe di farsi chiamare “Sua Eccellenza”) non sono gaffe ma un modo “sincero” e benpensante d’esprimersi che fa piazza pulita degli incomprensibili bizantinismi democristiani (ricordate le “convergenze parallele”?) e un po’ di tutto il linguaggio del ceto politico incubato in quel periodo.
Del resto inutile negare che Mussolini e il fascismo (per non parlare del nazismo hitleriano) godettero, soprattutto in tempi di pace, di un vasto appoggio di massa. Forse si spiega l’attrazione-repulsione tra Bossi e Berlusconi proprio perché, a un livello più basso, “il senatur” è della stessa pasta. Al contrario, pur non scevri da beceraggini, tipi politici come Fini e D’Alema, sono stati partoriti nel clima della “balena bianca” democristiana.
Ciò che spaventa veramente è l’attrazione acritica per i dittatori dei ceto medi e bassi, inclini nei momenti di malessere economico e sociale che ingenerano insicurezza, a seguire le lusinghe di un “capo”. E allora mi vien da dire che non si può più parlare di “rischi” e lanciare “moniti”. Purtroppo ci siamo dentro fino al collo. Non potremo chiamarlo “fascismo” perché il fascismo è storicamente connotato, ma in qualche modo c’è un regime autoritario in atto che limita nei fatti la libertà di pensiero e condiziona pesantemente l’azione politica.
Si avvale di nuovi strumenti, quelli attuali, più efficaci che in passato, ma alla base, per creare consenso, resta la “propaganda”. Io posso scrivere queste cose, sempre che qualcuno me le pubblichi, perché il loro peso è infimo rispetto al potere espresso dalla globalità dei media che, in mano a chi ha il potere, illustrano le meraviglie della disuguaglianza sociale e le virtù dei “capi”.
Per il momento mancano strumenti coercitivi o provvedimenti particolarmente odiosi nei confronti dei dissidenti. Ci si limita all’insulto ad additarli al pubblico ludibrio, alla trasformazione di ogni confronto politico in rissa, all’occupazione di tutti gli spazi di controllo sociale con uomini propri, all’emarginazione del pensiero divergente. La sinistra, ammesso che ancora si possa chiamare sinistra il melting pop di partiti e persone che così vengano definiti, ha perso quella che era la sua grande virtù: la capacità pedagogica d’elevare i livelli culturali dei singoli in un insieme socialmente solidale.
Anche i soggetti tradizionalmente vicini ai valori del socialismo storico ora sono soli di fronte all’impatto dei potenti mezzi di comunicazione attuali. Sono sicuramente più informati di prima, ma assolutamente impotenti ad esprimere culture alternative a quelle proposte.
Per questo il mio più grande timore non è, o meglio non è ancora, quello di essere imprigionato e torturato soltanto perché mi ostino a pensare con la mia testa, ma quello di essere ormai in una fase di non ritorno nel pieno di un regime che, nonostante gli strilli quotidiani di una opposizione già di per sé poco credibile, conferma i suoi voti di tornata elettorale in tornata e magari li aumenta pure.
Questo nonostante le incredibili “intemperanze” verbali, le gaffe quotidiane, le figuracce internazionali del nostro ineffabile Presidente del Consiglio. Spero di sbagliarmi e mi scuso per la rozzezza dell’analisi.
di Brizigrafo
Una ne dico cento ne penso
Per la serie una ne dico cento ne penso, o meglio, ne sparo una al giorno, Berlusconi ha assolto il fascismo dichiarando “Mussolini non uccise nessuno” “il confino era una vacanza”. Naturalmente si sono alzate voci autorevoli sui “rischi” di un nuovo fascismo.
Io concordo con ogni denuncia e gran parte delle cose dette spesso anche dottamente. Però, terra a terra, al di là dell’ovvia indignazione per tutto quanto sta accadendo, ricordo quando ero ragazzino e da una parte si diceva “si stava meglio quando c’era Lui” (lui era “il merda” di gaddiana memoria, Mussolini) e dall’altra s’invocava “a da venì Baffone” (baffone era Stalin tanto amato dalle masse sovietiche e dai proletari di tutto il mondo). Battute da bar che la dicevano lunga sugli umori popolari in tempi d’opposte ideologie e di dominio democristiano.
Il Berlusca è uomo da bar in sintonia con buona parte dei suoi elettori come ogni capopopolo. Pensa come loro, parla come loro, condivide con loro una scarsa preparazione culturale, si sente unto dal cielo per il successo ottenuto e vaste categorie di italiani lo capiscono perché come lui si credono più furbi degli altri, disprezzano sinceramente gli intellettuali e le loro “menate”, frutto di un lungo tirocinio di formazione mentale, mancano di qualsiasi memoria storica e apprezzano immensamente chi è vincente.
Per loro quelle del “cavaliere” (mi si permetta una digressione: “cavaliere” come Mussolini nell’italietta del tempo così ben disegnata da Novello nel “Signore di buona famiglia” dove si sprecano “cavalieri” “commendatori” “grandi ufficiali” e “sue eccellenze” e sicuramente il “nostro”, al pari di “lui” non disdegnerebbe di farsi chiamare “Sua Eccellenza”) non sono gaffe ma un modo “sincero” e benpensante d’esprimersi che fa piazza pulita degli incomprensibili bizantinismi democristiani (ricordate le “convergenze parallele”?) e un po’ di tutto il linguaggio del ceto politico incubato in quel periodo.
Del resto inutile negare che Mussolini e il fascismo (per non parlare del nazismo hitleriano) godettero, soprattutto in tempi di pace, di un vasto appoggio di massa. Forse si spiega l’attrazione-repulsione tra Bossi e Berlusconi proprio perché, a un livello più basso, “il senatur” è della stessa pasta. Al contrario, pur non scevri da beceraggini, tipi politici come Fini e D’Alema, sono stati partoriti nel clima della “balena bianca” democristiana.
Ciò che spaventa veramente è l’attrazione acritica per i dittatori dei ceto medi e bassi, inclini nei momenti di malessere economico e sociale che ingenerano insicurezza, a seguire le lusinghe di un “capo”. E allora mi vien da dire che non si può più parlare di “rischi” e lanciare “moniti”. Purtroppo ci siamo dentro fino al collo. Non potremo chiamarlo “fascismo” perché il fascismo è storicamente connotato, ma in qualche modo c’è un regime autoritario in atto che limita nei fatti la libertà di pensiero e condiziona pesantemente l’azione politica.
Si avvale di nuovi strumenti, quelli attuali, più efficaci che in passato, ma alla base, per creare consenso, resta la “propaganda”. Io posso scrivere queste cose, sempre che qualcuno me le pubblichi, perché il loro peso è infimo rispetto al potere espresso dalla globalità dei media che, in mano a chi ha il potere, illustrano le meraviglie della disuguaglianza sociale e le virtù dei “capi”.
Per il momento mancano strumenti coercitivi o provvedimenti particolarmente odiosi nei confronti dei dissidenti. Ci si limita all’insulto ad additarli al pubblico ludibrio, alla trasformazione di ogni confronto politico in rissa, all’occupazione di tutti gli spazi di controllo sociale con uomini propri, all’emarginazione del pensiero divergente. La sinistra, ammesso che ancora si possa chiamare sinistra il melting pop di partiti e persone che così vengano definiti, ha perso quella che era la sua grande virtù: la capacità pedagogica d’elevare i livelli culturali dei singoli in un insieme socialmente solidale.
Anche i soggetti tradizionalmente vicini ai valori del socialismo storico ora sono soli di fronte all’impatto dei potenti mezzi di comunicazione attuali. Sono sicuramente più informati di prima, ma assolutamente impotenti ad esprimere culture alternative a quelle proposte.
Per questo il mio più grande timore non è, o meglio non è ancora, quello di essere imprigionato e torturato soltanto perché mi ostino a pensare con la mia testa, ma quello di essere ormai in una fase di non ritorno nel pieno di un regime che, nonostante gli strilli quotidiani di una opposizione già di per sé poco credibile, conferma i suoi voti di tornata elettorale in tornata e magari li aumenta pure.
Questo nonostante le incredibili “intemperanze” verbali, le gaffe quotidiane, le figuracce internazionali del nostro ineffabile Presidente del Consiglio. Spero di sbagliarmi e mi scuso per la rozzezza dell’analisi.
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