L'era del cybergiornalista
17.12.2004
di Brizigrafo
Tentativo di contributo all'articolo di Pino Nicotri "Giornalisti solo con la laurea"
Scusate se m'intrometto in un argomento che mi riguarda marginalmente in quanto non-giornalista (avrei tanto voluto esserlo, ma a 19 anni, per snobismo, ho rifiutato un praticantato alla Gazzetta dello sport e mi sono fottuto - forse - ritrovandomi insegnante a vita). Pino Nicotri auspica una laurea obbligatoria per i giornalisti e chiede di parlarne. Parliamone.
Credo che tutti dovrebbero essere laureati, meglio, tutti dovrebbero avere un più elevato livello culturale, però temo non sia la laurea il problema dei giornalisti. Non è una laurea a fare un buon medico, un buon avvocato o un buon insegnante.
Ad esempio: conoscere una disciplina e non saperla insegnare è il problema dei docenti che docenti non sono, benché laureati. Ricordo anche un tempo in cui nella scuola media si assumevano farmacisti ad insegnare matematica. Disastro! Vogliamo ripeterci?
Lucidamente Nicotri stesso individua le ragioni per le quali i giornalisti sono, fatte le debite eccezioni, “marchettari”. Ma chi si percepisce come tale? Il bisogno d’autostima induce chiunque ad assolversi. Sostanzialmente è un sano meccanismo. Accade anche nelle altre professioni.
Ha ragione Pino Nicotri, è pazzesco che truffe e scandali li scoprano tutti tranne i giornali, eppure dubito che un giornalista “colto” sia meno pericoloso di un giornalista “ignorante” – perché ignora. Anzi!
Non ho certezze, ma mi chiedo se non sia proprio "il mestiere del giornalista" così come è stato concepito negli anni eroici della carta stampata ad essere finito.
Mi spiego. La comunicazione elettronica, i bit d’informazione che hanno reso Bill Gates l’uomo più ricco del mondo, hanno davvero mutato tutto. Non ce n’è ancora vera coscienza. Thomas S. Kuhn osserva che un cambiamento profondo richiede circa venticinque anni per verificasi, perché prima devono scomparire i sostenitori del vecchio paradigma.
Io sto scrivendo per un giornale on-line (senza esserne richiesto e senza compensi). Contemporaneamente ascolto, in differita, Pier Luigi Vercesi che mi legge i giornali dalla rassegna stampa di Radio 3. In rete approfondirò ciò che più m'interessa. Altre notizie ed articoli li reperirò in base alle mie necessità. Ho a disposizione agenzie, stampa italiana ed estera, siti specializzati. In altri termini quotidianamente mi confeziono un giornale personalizzato. Sempre più raramente sento il bisogno di una copia cartacea.
I contenuti di Internet possono essere spazzatura al novantanove per cento, tuttavia in quell'infima percentuale che si salva c'è tutto ciò che occorre, praticamente in ogni campo del sapere. Certo è richiesta capacità di ricerca e verifica incrociata delle fonti per quanto attendibili siano, ma non sono questioni nuove. Cambiano modi e tempi per affrontarle.
Non intendo con ciò dire che non servano più giornali e giornalisti. Piuttosto penso che si stia diffondendo una sorta di "giornalismo diffuso" sparso nel Web che giornalismo più non è. E' transito tecnologico di comunicazione, ICT appunto, in una comunità aperta di pari che nello stesso tempo sono produttori e fruitori d’informazioni.
Bello e democratico, no? Ovviamente non sono così candido da credere che tutto andrà per il meglio e vivremo nel migliore dei mondi possibili. Per la verità sembra che le cose vadano in ben altra direzione. Ciò nonostante condivido almeno in parte l'ottimismo di Pierre Lévy per "l'intelligenza collettiva" che si svilupperebbe nel cyber-spazio.
Insomma si sono aperte nuove dimensioni cognitive che vanno analizzate utilizzando strumenti diversi dai consueti. Parafrasando Scarlett O’Hara nella battuta finale di "Via col vento" viene da dire “Domani è un altro mondo e si vedrà”.
di Brizigrafo
Tentativo di contributo all'articolo di Pino Nicotri "Giornalisti solo con la laurea"
Scusate se m'intrometto in un argomento che mi riguarda marginalmente in quanto non-giornalista (avrei tanto voluto esserlo, ma a 19 anni, per snobismo, ho rifiutato un praticantato alla Gazzetta dello sport e mi sono fottuto - forse - ritrovandomi insegnante a vita). Pino Nicotri auspica una laurea obbligatoria per i giornalisti e chiede di parlarne. Parliamone.
Credo che tutti dovrebbero essere laureati, meglio, tutti dovrebbero avere un più elevato livello culturale, però temo non sia la laurea il problema dei giornalisti. Non è una laurea a fare un buon medico, un buon avvocato o un buon insegnante.
Ad esempio: conoscere una disciplina e non saperla insegnare è il problema dei docenti che docenti non sono, benché laureati. Ricordo anche un tempo in cui nella scuola media si assumevano farmacisti ad insegnare matematica. Disastro! Vogliamo ripeterci?
Lucidamente Nicotri stesso individua le ragioni per le quali i giornalisti sono, fatte le debite eccezioni, “marchettari”. Ma chi si percepisce come tale? Il bisogno d’autostima induce chiunque ad assolversi. Sostanzialmente è un sano meccanismo. Accade anche nelle altre professioni.
Ha ragione Pino Nicotri, è pazzesco che truffe e scandali li scoprano tutti tranne i giornali, eppure dubito che un giornalista “colto” sia meno pericoloso di un giornalista “ignorante” – perché ignora. Anzi!
Non ho certezze, ma mi chiedo se non sia proprio "il mestiere del giornalista" così come è stato concepito negli anni eroici della carta stampata ad essere finito.
Mi spiego. La comunicazione elettronica, i bit d’informazione che hanno reso Bill Gates l’uomo più ricco del mondo, hanno davvero mutato tutto. Non ce n’è ancora vera coscienza. Thomas S. Kuhn osserva che un cambiamento profondo richiede circa venticinque anni per verificasi, perché prima devono scomparire i sostenitori del vecchio paradigma.
Io sto scrivendo per un giornale on-line (senza esserne richiesto e senza compensi). Contemporaneamente ascolto, in differita, Pier Luigi Vercesi che mi legge i giornali dalla rassegna stampa di Radio 3. In rete approfondirò ciò che più m'interessa. Altre notizie ed articoli li reperirò in base alle mie necessità. Ho a disposizione agenzie, stampa italiana ed estera, siti specializzati. In altri termini quotidianamente mi confeziono un giornale personalizzato. Sempre più raramente sento il bisogno di una copia cartacea.
I contenuti di Internet possono essere spazzatura al novantanove per cento, tuttavia in quell'infima percentuale che si salva c'è tutto ciò che occorre, praticamente in ogni campo del sapere. Certo è richiesta capacità di ricerca e verifica incrociata delle fonti per quanto attendibili siano, ma non sono questioni nuove. Cambiano modi e tempi per affrontarle.
Non intendo con ciò dire che non servano più giornali e giornalisti. Piuttosto penso che si stia diffondendo una sorta di "giornalismo diffuso" sparso nel Web che giornalismo più non è. E' transito tecnologico di comunicazione, ICT appunto, in una comunità aperta di pari che nello stesso tempo sono produttori e fruitori d’informazioni.
Bello e democratico, no? Ovviamente non sono così candido da credere che tutto andrà per il meglio e vivremo nel migliore dei mondi possibili. Per la verità sembra che le cose vadano in ben altra direzione. Ciò nonostante condivido almeno in parte l'ottimismo di Pierre Lévy per "l'intelligenza collettiva" che si svilupperebbe nel cyber-spazio.
Insomma si sono aperte nuove dimensioni cognitive che vanno analizzate utilizzando strumenti diversi dai consueti. Parafrasando Scarlett O’Hara nella battuta finale di "Via col vento" viene da dire “Domani è un altro mondo e si vedrà”.
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